Spartito colorato

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mercoledì 30 agosto 2017

Franco basaglia

In noi la follia esiste. La follia è una condizione umana. 


(tratto da Wikipedia) 

Franco Basaglia

Psichiatra e neurologo italiano
Franco Basaglia (1979)
Franco Basaglia (Venezia11 marzo1924 – Venezia29 agosto 1980) è stato uno psichiatra e neurologo italiano, professore[1], fondatore della concezione moderna della salute mentale[2][3], riformatore della disciplina psichiatrica in Italia[4] e ispiratore della cosiddetta Legge Basaglia (n. 180/1978) che introdusse un'importante revisione ordinamentale degli ospedali psichiatrici in Italia e promosse notevoli trasformazioni nei trattamenti sul territorio.

BiografiaModifica

Secondo di tre figli, trascorre un'adolescenza tranquilla e agiata. Dopo aver conseguito la maturità classica nel 1943 si iscrive alla facoltà di medicina e chirurgia dell'Università di Padova. Durante gli studi universitari frequenta un gruppo di studenti antifascisti. In seguito al tradimento di uno di loro, Basaglia viene arrestato e detenuto per alcuni mesi[5]. Milita nel Partito Socialista Italiano[6] e nel 1949 consegue la laurea. In questo periodo si dedica ai classici dell'esistenzialismoSartreMaurice Merleau-PontyHusserlHeidegger. Nel 1953 si specializza in Malattie nervose e mentali presso la clinica neuropsichiatrica di Padova. Lo stesso anno sposa Franca Ongaro che gli darà due figli e sarà coautrice col marito di alcune opere sulla psichiatria ed entrerà in Parlamento con la Sinistra Indipendente.
Nel 1958 Basaglia ottiene la libera docenza in psichiatria. Per le sue idee innovative e rivoluzionarie non viene bene accolto in ambito accademico, cosicché nel 1961 decide di rinunciare alla carriera universitaria e di trasferirsi a Gorizia per dirigere l'ospedale psichiatrico della città. Si tratta di un esilio professionale dovuto soprattutto alle scelte politiche e scientifiche. L'impatto con la realtà del manicomio è durissimo. Teoricamente si avvicina alle correnti psichiatriche di ispirazione fenomenologica ed esistenziale (Karl JaspersEugéne MinkowskiLudwig Binswanger), ma anche a Michel Foucault e Erving Goffman per la critica all'istituzione psichiatrica. Nel 1969 entra in contatto con Giorgio Antonucci, che lavora nell'ospedale diretto da Basaglia.
Gorizia, dopo alcuni soggiorni all'estero (fra cui la visita alla comunità terapeutica di Maxwell Jones), avvia nel 1962, insieme ad Antonio Slavich, la prima esperienza anti-istituzionale nell'ambito della cura dei malati di mente. In particolare, egli tenta di trasferire il modello della comunità terapeutica all'interno dell'ospedale e inizia una vera e propria rivoluzione. Si eliminano tutti i tipi di contenzione fisica e le terapie elettroconvulsivanti (elettroshock), vengono aperti i cancelli dei reparti. Non più solo terapie farmacologiche, ma anche rapporti umani rinnovati con il personale. I pazienti devono essere trattati come uomini, persone in crisi.
Fu l'inizio di una riflessione sociopolitica sulla trasformazione dell'ospedale psichiatrico e di ulteriori esperienze di rinnovamento nel trattamento della follia, alternative anche alla esperienza di Gorizia.[7] Nel 1967 cura il volume Che cos'è la psichiatria?. Nel 1968 pubblica L'istituzione negata. Rapporto da un ospedale psichiatrico, dove racconta al grande pubblico l'esperienza dell'ospedale psichiatrico di Gorizia. Quest'ultima si rivela un'opera di grande successo editoriale. Nel 1969 lascia Gorizia e, dopo due anni a Parma dove dirige l'ospedale di Colorno, nell'agosto del 1971 diviene direttore del manicomio di Trieste.
Basaglia istituisce subito, all'interno dell'ospedale psichiatrico, laboratori di pittura e di teatro. Nasce anche una cooperativa di lavoro per i pazienti, che così cominciano a svolgere lavori riconosciuti e retribuiti. Ma ormai sente il bisogno di andare oltre la trasformazione della vita all'interno dell'ospedale psichiatrico: il manicomio per lui va chiuso ed al suo posto va costruita una rete di servizi esterni, per provvedere all'assistenza delle persone affette da disturbi mentali. La psichiatria, che non ha compreso i sintomi della malattia mentale, deve cessare di giocare un ruolo nel processo di esclusione del "malato mentale", voluto da un sistema ideologico convinto di poter negare e annullare le proprie contraddizioni, allontanandole da sé ed emarginandole.
Nel 1973 Trieste viene designata "zona pilota" per l'Italia nella ricerca dell'OMSsui servizi di salute mentale. Nello stesso anno Basaglia fonda il movimento Psichiatria Democratica, favorendo la diffusione in Italia dell'antipsichiatria, una corrente di pensiero sorta in Inghilterra nel quadro della contestazione e dei fermenti rivoluzionari del 1968 ad opera principalmente di David Cooper.[8] Nel gennaio 1977 viene annunciata la chiusura del manicomio "San Giovanni" di Trieste entro l'anno. L'anno successivo, il 13 maggio 1978, in Parlamento viene approvata la legge 180 di riforma psichiatrica. Nel 1979Basaglia parte per il Brasile, dove, attraverso una serie di seminari raccolti successivamente nel volume Conferenze brasiliane, testimonia la propria esperienza.
Nel novembre del 1979 lascia la direzione di Trieste e si trasferisce a Roma, dove assume l'incarico di coordinatore dei servizi psichiatrici della Regione Lazio. Nella primavera del 1980si manifestano i primi sintomi di un tumore al cervello, che in pochi mesi lo porterà alla morte, avvenuta il 29 agosto 1980 nella sua casa di Venezia. A distanza di quasi 40 anni, benché sia stata più volte oggetto di discussione e di tentativi di revisione, la legge 180 è ancora in vigore e regola l'assistenza psichiatrica in Italia.[9][10][11]
Franco Basaglia è stato sepolto presso l'Isola di San Michele, cimitero di Venezia.

Il pensieroModifica

Già durante gli anni di studio universitario e di specializzazione in neuropsichiatria presso l'Ateneo padovano, Basaglia tenta di integrare la rigida impostazione medica di matrice positivista, con un nuovo approccio filosofico di stampo fenomenologico-esistenziale. Egli è alla ricerca di nuovi strumenti di validazione funzionali alla nuova idea psichiatrica che gradualmente sta maturando in lui proprio grazie alle letture filosofiche.

Impostazione positivista e fenomenologica in psicologiaModifica

Basaglia supera la semplice visione positivista, facendo proprie istanze di una visione fenomenologica della psichiatria:
  • Secondo l'impostazione positivista, i sintomi della malattia vengono considerati "dati oggettivi", "fatti" osservati empiricamente, per classificare in modo oggettivo la malattia, ipotizzare una eventuale prognosi, con un approccio non dissimile al metodo di osservazione tipico delle scienze naturali.
  • Secondo l'impostazione fenomenologica, la psichiatria non può ridurre il malato ad una serie di sintomi classificati, sebbene la loro osservazione e la loro descrizione dettagliata rimangano strumenti preziosi. Il paziente non si può osservare solamente dall'esterno, poiché la psiche umana è decisamente più complessa e misteriosa, la psichiatria non deve “oggettivizzare” il malato in una diagnosi.
Basaglia sostiene che il medico non deve solo saper osservare la malattia, soffermarsi sui suoi sintomi, pretendere di darne una spiegazione. Il medico deve anche saper avvicinare il paziente mettendosi dalla sua parte, stabilire una relazione con un ascolto attento e partecipe senza temere l'esperienza dell'immedesimazione e della sofferenza. Lo psichiatra avvicinandosi al paziente deve prendere in carico tutta la persona, il suo corpo e la sua mente, il suo essere nel mondo e dunque la sua storia e la sua vita.
« Comprendere significa avvicinarsi all'esperienza vivente nei suoi stessi termini, mobilitando non il semplice intelletto, ma tutte le capacità intuitive del nostro animo, per penetrarne l'intima essenza senza ridurla ad ipotesi casuali precostituite[12] »
È evidente in questa prima elaborazione l'influenza del pensiero di Karl Jaspers.

Influenza del pensiero fenomenologicoModifica

Negli anni cinquanta, studiando Ludwig Binswanger, Basaglia entra in contatto con l'esperienza fenomenologica di Edmund Husserl. Basaglia riprende da Husserl la sua analisi del corpo, in particolare la distinzione tra:
  • Körper: il mero corpo fisico, la cosa, la corporeità oggettuale, il corpo esteso
  • Leib, il corpo proprio, il mio corpo, il corpo vivente.
Tale distinzione è trattata da Husserl nelle Meditazioni cartesiane, in particolare nella Quinta:
« ..appartiene alla mia proprietà, purificata da ogni senso di soggettività estranea, un senso di mera natura che ha perduto anche l’esserci-per-ciascuno e che perciò non può in alcun modo esser preso per una falda astrattiva del mondo stesso, o meglio del suo senso. Tra i corpi di questa naturapresi come appartenenti-a, io trovo allora in una determinazione unica il mio corpo, che è appunto l’unico a non essere mero corpo fisico o cosa [Körper], ma invece mio corpo, corpo umano, corpus [Leib], oggetto unico al di dentro della mia falda di mondo astrattiva, alla quale ascrivo il campo di esperienza sensibile, sebbene in modi diversi di appartenenza (campo di sensazioni tattili, campo di sensazioni termiche ecc.); ed il mio corpo è la sola ed unica cosa in cui io dispongo ed impero immediatamente e comando singolarmente in ciascuno dei suoi organi[13]. »
Con la nozione di corpo vissutoHusserlsancisce il superamento definitivo della divisione tra res cogitans e res extensa, ovvero tra psiche e soma, il dualismo cartesiano di anima/corpo, la cui opposizione aveva caratterizzato la psicologia e la psichiatria, con vicende alterne, fino ad allora. Il corpo non dovrebbe essere sentito come ostacolo da superare ma come veicolo che immette la persona nel mondo. Basaglia a proposito scrive:
« L'opaca impenetrabilità del corpo che noi avvertiamo e viviamo come la resistenza delle cose è, dunque, la precategorialità di cui parla Husserl, per il quale il corpo si dà come materia (impenetrabile, opaco, passivo) ma proprio nel suo essere tale è contemporaneamente una modalità del corpo-proprio di esperire la materia […] in me c’è dunque un'enigmatica qualità per cui la materia, costitutiva di me stesso, è — nel mio rapporto con le cose — il mio modo di esperire, la mia possibilità di vivere in mezzo all’oggettualità delle cose[14]. »
Basaglia approfondisce anche il concetto di epoché di Husserl, inteso come sospensione del giudizio sul mondo, sulla sua naturalità, ovvietà, per diventare, prima ancora che un oggetto a sé stante, un puro fenomeno di coscienza. L'epoché non è un annullamento del mondo che continua ad esistere, ma si configura come spostamento dello sguardo dal mondo a come il mondo si presenta alla coscienza, o come, quest'ultima, si protende nel mondo.

Influenza del pensiero esistenzialeModifica

Negli anni cinquanta, Basaglia entra in contatto anche con l'Esistenzialismo di Martin Heidegger, da cui riprende la tesi ontologica della struttura fondamentale dell'esserci come essere-nel-mondo (In-der-Welt-sein). La Daseinsanalysepermette la comprensione delle modalità con le quali si manifesta nel mondo l'essere umano, sia esso sano o malato. Superando la visione dualistica soggetto/oggetto, la Daseinsanalysepermette di sciogliere l'incomprensibilità della malattia mentale, mettendo sullo stesso piano di possibilità tutte le modalità esistenziali, abolendo la distinzione normativa sano/malato di matrice positivista.
Si sposta l'attenzione ormai in maniera definitiva dall'osservazione e catalogazione delle manifestazioni sintomatologiche del malato, all'indagine delle modalità con le quali la persona sofferente esprime se stessa nel mondo. Secondo Heidegger l'essere dell'uomo come essere-nel-mondoconsiste nel prendersi cura (Sorge) delle cose e degli altri. Il prendersi cura è dunque l'essenza dell'esistere umano. L'uomo è legato alla finitezza dei suoi bisogni e dei suoi progetti, non conosce la sua origine e non sa la sua fine. Egli deve imparare a convivere con il nulla, con il non senso radicale della vita. Egli deve imparare a convivere con l'angoscia che tutto ciò implica.

Influenza del pensiero di MinkowskiModifica

Basaglia rielabora la visione del tempo proposta da Eugéne Minkowski, partendo dalla concezione della durée (durata) di Henri BergsonMinkowskiesamina la vita alla stregua di un flusso e polemizza con la considerazione che vuole accostare il tempo ad una visione lineare attraverso una sua spazializzazione. Minkowski riflette sullo slancio vitale che, ponendo l'essere umano nei confronti della sua durata con lo sguardo rivolto verso l'avvenire (provenendo dal passato), fa sì che si possa sviluppare autenticamente quello che lui chiama contatto vitale con la realtà.
Egli scrive:
« Il contatto vitale con la realtà sembra rapportarsi ai fattori irrazionali della vita. I concetti ordinari, elaborati dalla fisiologia e dalla psicologia, quali stimolo, sensazione, riflesso, atto motorio ecc., le passano accanto senza raggiungerla, senza nemmeno sfiorarla. […] Il contatto vitale con la realtà riguarda molto di più il fondo stesso, l’essenza della personalità vivente nei suoi rapporti con l’ambiente. E questo ambiente, ancora una volta, non è né un insieme di stimoli esterni, né di atomi, né di forze o energie; è un’onda mobile che ci avvolge da ogni parte e che costituisce il mezzo senza il quale non potremmo vivere[15]. »
Per Minkowski la caratteristica principale dello schizofrenico è proprio «la mancanza di contatto vitale con la realtà»[16]. Il contatto vitale con la realtà si configura dunque come un flusso. Come per Binswanger, secondo Minkowski chi soffre di disturbi mentali subisce la fossilizzazione del proprio flusso temporale che si riduce ad essere una sosta continua in un presente costante e sempre attuale.
Altro tema che affascina Basaglia è la riflessione sulla simpatia. Questa è essenziale perché si verifichi l'autenticità del contatto vitale con la realtà:
« La simpatia non potrà essere istantanea, vi è sempre in essa della durata, e in questa durata vi sono due divenire, i quali, in perfetta armonia, fluiscono l’uno accanto all’altro. Così facendo essi si penetrano tanto intimamente che, anziché ammettere l’esistenza di un sentimento che quasi per risonanza evocherebbe un sentimento analogo in un altro individuo, si sarebbe piuttosto inclini a considerarlo un sentimento solo che, pur restando uno, si integri in due vite individuali diverse. Si tratta qui di vera partecipazione[17]. »
Così come la comprensione, la simpatia (e con essa la partecipazione) ha bisogno di chiarire la propria appartenenza al tempo e al flusso del divenire (la tensione verso l'avvenire in particolar modo), inteso come una durata costante, per nulla lineare e per nulla spaziale, in cui si accetta silenziosamente la linea tendenziale di uno scorrere frammentato eppure continuo, peculiare e denso dei rimandi che ad esso provengono dal mondo tutto, quello spaziale e quello temporale. L'incontro profondo, sintonico, tra medico e paziente, su cui si fonda il metodo di Minkowski, promuove un atto di conoscenza: quella che il medico acquisisce della struttura del malato e la consapevolezza che il malato acquista di sé.
Basaglia fa proprio il metodo di Minkowski, dichiarando di preferirlo ad un'indagine psicoanalitica o ad una “logoterapia”, poiché si propone di osservare l'individuo nella sua globalità e perché considera la cura un tentativo di ricondurre la persona alle sue piene possibilità esistenziali. L'opera dello psichiatra dunque non si esaurisce nell'atto medico di affrontamento dei sintomi e risoluzione della sofferenza, ma si sviluppa in tutti i tentativi possibili per consentire alla persona che è di fronte di ritornare nell'ambiente sociale dal quale in passato è stata esclusa.

Influenza del pensiero di Merleau-Ponty e J.P. SartreModifica

Dalla seconda metà degli anni cinquanta fino agli ultimi scritti il pensiero di Basaglia è stato fortemente influenzato da Merleau-Ponty e Jean-Paul Sartre. La rivista da loro fondata Les Temps Modernes e i loro due testi principali, Fenomenologia della percezione (1945) e L'essere e il nulla (1945), sono i capisaldi della formazione di un'intera generazione di psichiatri di quegli anni, e testi continuamente citati negli scritti dello stesso Basaglia. Lo psichiatra non solo studia Sartre, ma lo incontra in più occasioni, non nascondendosi la reciproca stima.
In questo periodo la preoccupazione principale di Basaglia è il recupero dell'entità corporea, dando nuovo valore al corpo custodito all'interno delle istituzioni manicomiali. Egli adotta la nozione di corpo vissuto che caratterizza il pensiero di Sartre. Per Sartre si scopre il proprio corpo come oggettività, datità, fattità, corpo per altri, esposto allo sguardo degli altri, ma anche come soggettività mai completamente oggettivabile: corpo per me, grazie al quale si è situati in un mondo, si esiste in un mondo. Nel suo testo L'essere e il nullaSartre distingue la coscienza, il per-sé, dal mondo, l'in-sé, e mostra come questa sia sempre coscienza di qualcosa. Pur essendo sempre nel mondo, nell'essere in sé, è radicalmente diversa da esso, è possibilità, è libertà. Pertanto l'uomo, una volta gettato nella vita, è responsabile di tutto ciò che fa e progetta. L'uomo deve scegliere, deve scegliersi, ma l'esperienza della libertà incondizionata, del nulla, genera angoscia. Spesso egli tenta di sfuggire a questa ansia, illudendosi di essere all'interno di un mondo razionale o cercando sicurezze attraverso finalismi e valori trascendenti. Oppure è condannato a convivere con questa situazione di fatto, con la sua “fattità”.
Per quanto riguarda più strettamente l'analisi del corpo, non sono da trascurare i riferimenti a Maurice Merleau-Ponty che, a differenza di Sartre, è rimasto più vicino alla matrice fenomenologica dell'esistenzialismo. Il filosofo non condivide la rigida distinzione sartriana tra corpo per sé e corpo per altri e neppure l'antitesi fra per sé e in sé, in quanto si rischia di ricadere nel dualismo di matrice cartesiana. Secondo Merleau-Ponty uomo e mondo non possono mai distinguersi nettamente, il loro intrecciarsi è complesso e ambiguo. Questa complessità ed ambiguità, è rispecchiata proprio dal corpo, che è il mezzo per avere un mondo.
Tale ambiguità mostra, infatti, come la libertà possa esistere ma sia condizionata, proprio perché l'essere umano è mescolato al mondo e agli altri in una confusione inestricabile. Questa è la situazione naturale per l'uomo ed egli deve accettarla, senza tentare di superarla, per essere libero. Basaglia afferma che il corpo non è “soltanto oggetto complementare alla soggettività dell'io, ma rappresenta, come dice Merleau-Ponty, l'esperienza più profonda ed insieme la più ambigua delle percezioni: proprio questa ambigua bipolarità del corpo, contemporaneamente presente e dimenticato, soggetto e oggetto delle percezioni, fa dell'esperienza corporea la più fragile delle esperienze.”[18]

Altri testi fondamentaliModifica

Nel 1961 vengono pubblicati altri tre libri fondamentali per gli sviluppi successivi del pensiero di Basaglia:

Rielaborazione originaleModifica

Studiando questi filosofi Basaglia prende sempre più coscienza che gli insegnamenti dei diversi modelli si integrano nella concezione della dimensione corporea come prioritaria, sulla quale il lavoro della psichiatria deve affondare i propri strumenti, proprio in ragione della natura specifica del corpo stesso. Egli matura l'urgenza di migliorare la gestione e la custodia dei malati mentali. Da questa analisi teorica parte la critica radicale dell'istituzione del manicomio, come luogo di emarginazione e non di cura, e il perentorio mandato di ridare dignità al malato in quanto persona, fuoriuscendo dall'etichettamento della malattia.
« Dal momento in cui oltrepassa il muro dell'internamento, il malato entra in una nuova dimensione di vuoto emozionale ([...]); viene immesso, cioè, in uno spazio che, originariamente nato per renderlo inoffensivo ed insieme curarlo, appare in pratica come un luogo paradossalmente costruito per il completo annientamento della sua individualità, come luogo della sua totale oggettivazione. Se la malattia mentale è, alla sua stessa origine, perdita dell'individualità, della libertà, nel manicomio il malato non trova altro che il luogo dove sarà definitivamente perduto, reso oggetto della malattia e del ritmo dell'internamento. L'assenza di ogni progetto, la perdita del futuro, l'essere costantemente in balia degli altri senza la minima spinta personale, l'aver scandita e organizzata la propria giornata su tempi dettati solo da esigenze organizzative che – proprio in quanto tali – non possono tenere conto del singolo individuo e delle particolari circostanze di ognuno: questo è lo schema istituzionalizzante su cui si articola la vita dell'asilo.[19] »
(Franco Basaglia, 1964)
Basaglia si convince che il folle ha bisogno non solo delle cure per la sua malattia, ma anche di un rapporto umano con chi lo cura, di risposte reali per il suo essere, di denaro, di una famiglia e di tutto ciò di cui anche i medici che lo curano hanno bisogno. Insomma il folle non è solamente un malato, ma un uomo con tutte le sue necessità. Trattato come uomo, il folle non presenta più una "malattia", ma una "crisi", una crisi vitale, esistenziale, sociale, familiare che sfugge a qualsiasi "diagnosi" utile solo a cristallizzare una situazione istituzionalizzata.
Basaglia si occupa da psicopatologo della malattia mentale con la preoccupazione di salvaguardare la soggettività del malato di fronte alla violenza del sapere psichiatrico e di riscoprire la dimensione più misteriosa, e dunque più particolare, dell'essere umano. La follia non è malattia. L'analista deve restare in ascolto dell'altro e spogliarsi d'ogni certezza, per poter far questo, avverte sempre più pressante la necessità di operare una sospensione, una epoché, di tutte le categorie sclerotizzate per poter ridare parola al paziente. Il pensiero esistenziale e fenomenologico eviscerato in questi anni di studio gli dà anche un'altra certezza: non si può trasformare il mondo senza trasformare se stessi, senza esporsi al rischio di diventare altri da ciò che si è.

Riconoscimenti

Opere

Note

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